domenica, maggio 04, 2008

SULLE "RADICI"

- Voi affermate che la Biomusica usa antiche conoscenze sull’utilizzo del suono e sulla sua influenza sull’essere umano. Da dove vengono queste conoscenze che si esprimono negli esercizi?
- Prima di rispondere è necessario chiarire che esiste un modo di guardare la storia che privilegia ciò che non si riesce a spiegare, mettendo in risalto gli aspetti misteriosi, le ombre, i dubbi, gli oscuri saperi perduti. Per questi motivi si finisce per attribuire a forze occulte la spiegazione di fatti che, alla luce della ragione, sono talmente ovvie e naturali come la continuità tra il giorno e la notte.
Le antiche religioni, i culti, le superstizioni, i sacerdoti, i maghi e gli stregoni sono morti e di loro non rimane altro che cenere, gli archetipi che hanno nutrito gli uni e gli altri persistono e continuano a manifestarsi. Chiarito questo punto, rispondo che nella Biomusica beviamo da distinte e varie fonti. Pensiamo che esistano conoscenze che sono state sepolte dal tempo, che hanno riposato sotto terra per migliaia di anni, ma che in questi tempi sembrano essere riaffiorate in superficie per parlarci a voce alta. Ciò che abbiamo fatto è stato semplicemente prendere la pala dello studio,aiutare a dissotterrarle e tradurle in un linguaggio moderno.

- Qualche esempio?
- La parola è suono. In Biomusica affermiamo che il suono è una delle forme di energia, e la voce, attraverso parole o fonemi, è energia che influenza chi la riceve e chi la pronuncia. Per esemplificare, prendiamo il caso delle parole che chiamiamo nomi, e vediamo l’importanza del nostro nome; dopo ci estenderemo ai nomi che in alcune culture sono considerati “divini”.
Il nome proprio è pregno di significato, di caratteristiche della persona, di accadimenti della sua vita. Non avere nome equivale a non esistere nella realtà: quando si cancella il nome di qualcuno, questa persona cessa di esistere. Per tanto imporre un nome è conferire identità e non semplicemente distinguersi da altri individui o specie. Un nome è sempre stato assegnato a ciascuna persona ed è qualcosa grazie al quale possiamo identificarla. Nell’antichità questa era la consuetudine. Le persone usavano solo un nome; senza dubbio, man mano che la popolazione cresceva è stato necessario stabilire distinzioni. Fu così che si è cominciato a utilizzare i mestieri a mo’ di cognome: Luigi il carrozzaio, Giovanni il calzolaio, Maria la mugnaia. In alcune occasioni, le persone usavano il nome dei propri padri per identificarsi: il figlio di Giuseppe, la figlia di Santiago.
Il nome è l’identità, non solo distinguersi dagli altri. Un cambio di nome indica che si cambia di stato o condizione per iniziare una nuova esistenza. Questa è la ragione per la quale agli iniziati di alcune scuole si da un nome nuovo quando arrivano a una certa tappa.
Al di là delle credenze particolari di ciascuno, citeremo alcuni esempi interessanti che ci possono chiarire alcuni interrogativi o aprire il passo a nuove domande. Nelle allegorie bibliche si usano i significati dei nomi di paesi, città, stati, fiumi, personaggi e oggetti per codificare messaggi occulti sotto un significato letterale. Anche alcuni personaggi della Bibbia, ad esempio, cambiarono il proprio nome dopo aver raggiunto un alto grado di evoluzione: Abramo cambiò in Abraham, Sarai in Sara, Jacob in Israel, Gedeon in Gedeon Jerobaal.
Per la tradizione ebrea esiste una particolare associazione tra il nome e la persona: non si conosce una persona a meno che non si conosca il vero nome; per tanto, se conosco il tuo nome conosco te, sarebbe a dire che ho potere su di te. Si narra, sempre nella Bibbia, di un angelo che lotta con Jacob. Jacob lo sconfigge ma quando gli chiede il suo nome l’angelo si rifiuta di pronunciarlo. Sempre seguendo le Scritture, vediamo che la stessa formula (risposta negativa analoga a quella che l’angelo diede a Jacob per non svelarsi), è quella che Dio usò per dire il suo nome a Mosé: “Io sono colui che è”.
- E con i nomi “sacri” che sono divenuti popolari?
- Quando i sacerdoti volevano imporre un nome alla divinità, la faccenda si complicava. Un solo nome è sufficiente per ognuno di noi, però riguardo al divino si tratta di comprendere - con una serie di suoni ordinati come parola- tutto ciò che è in relazione con il significato di universo, ossia con Dio.
Inoltre, anche nel caso di una convenzione tra membri di una stessa tribù, i sacerdoti arrivavano a imporre restrizioni all’uso volgare dei nomi di Dio: non tutti potevano pronunciarlo. Per alcune culture, il nome di Dio aveva talmente tanto potere che provavano timore al solo pronunciarlo: “Non pronunciare invano il nome di Yahvé”. Questo avvertimento si basava sulla convinzione che Dio non è sempre a disposizione, e questo doveva essere ricordato alla gente. Nel linguaggio comune è sostituito da Elohim o, più frequentemente, Adonai, che significa signore, padrone (don). Nell’Antico Testamento si utilizza abitualmente per non pronunciare un altro nome più sacro. Dunque, era meglio non abusare di detti nomiper non cadere nella tentazione di usare il potere divino a fini personali.
Per questo si affermava che nessuno doveva conoscere il nome di Dio, e solo alcuni eletti avevano la facoltà di pronunciarlo.
- Perché si comportavano così?
- Forse questa serie di divieti furono stabiliti per reali motivi religiosi, forse per consolidare una casta sacerdotale alla quale era permesso fare uso a sua discrezione di tali nomi e, dunque, avere l’esclusiva del rapporto con il divino. Non è nostro desiderio prendere parte in questo dibattito, stiamo solo accennando su ciò che le tradizioni ci raccontano dalla loro remota eco.
- Esistono ulteriori prove su questo tema?
- In alcune lingue arcaiche, si arrivava a sopprimere le vocali, scrivendo solo le consonanti. Che significato poteva avere questo se non quello di nascondere? Basta ricercare un po’ per scoprire –o tornare a scoprire– ciò che stiamo affermando. Inoltre, questa abitudine arriva fino ai giorni nostri: nelle chiese cattoliche si può vedere che il nome Gesù non è scritto come si pronuncia, ma è scritto JHS, cioè solo con le consonanti.
- E nelle altre culture?
- I cananei mantenevano occulto il nome delle proprie divinità utilizzando il termine generico Baal (signore, padrone). Secondo i musulmani i nomi divini, conosciuti dai fedeli comuni, sono novantanove (più uno che è nascosto, segreto e accessibile solo ai mistici più illuminati). Chi li apprende, li comprende e li enumeraentra nel paradiso e raggiunge la salvezza eterna. Di fatto,intendere l’essenza di questi nomi –ovvero i loro attributi intrinseci– è il primo passo per arricchirsi spiritualmente. Questa è la credenza alla base del costume musulmano di raccogliersi in preghiera e far passare tra le dita i novantanove grani del rosario. In altre parole, i nomi divini hanno potere.

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